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Mi presento, ma avete già avuto modo di leggermi in altri articoli su questo blog: mi chiamo Valentina Baldon, non sono una psicologa e più che ascoltare storie, amo raccontarle. Mi occupo con passione di web marketing e di web writing. Sono molto curiosa e ho sempre voglia di stare sul pezzo.

Oggi anziché narrare storie altrui, voglio raccontarvi la mia esperienza personale.

Come affrontare un lutto?

Questa è la domanda che ho fatto spesso ad un amico psicologo e la sua risposta non è mai cambiata:

Non c’è nessuna bacchetta magica per alleviare il dolore e nemmeno una formula miracolosa. La soluzione è imparare ad ascoltare se stessi.

Certo, direte voi, questa frase vuol dire tutto come vuol dire niente e avete certamente ragione ma, con il senno di poi, ne ho compreso la veridicità.  Oggi ho deciso di aprire il mio cuore e lasciare libere le mie emozioni per raccontarvi la mia esperienza nell’affrontare un lutto che mi ha colpito due anni fa.

Lui era un amico e a dicembre avrebbe compiuto 24 anni, mentre io ne avevo 29 e non avevo mai affrontato la morte. Era il 2 giugno del 2015 quando è arrivata quella telefonata che mi ha lasciato un profondo senso di inquietudine. Non mi è stato detto nulla, solo di raggiungere un bar di un paese vicino, per poi sbattermi in faccia la verità: lui aveva avuto un infarto e ogni tentativo di rianimazione era stato inutile.

Bene, e ora che si fa? Sul momento non ho realizzato a pieno l’accaduto e continuavo solo a ripetermi che non poteva essere vero. È stato solo al funerale, tre giorni dopo, che ho guardato in faccia la realtà: se n’era andato e non sarebbe mai più tornato.

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E ora che si fa?

Questo è ciò ho iniziato a chiedermi… Era andato via senza salutare e io avevo soltanto un terribile bisogno di sentirlo vicino.

Perché vi racconto tutto questo?

Semplicemente perché i vuoti sono comuni a tutti coloro che si trovano ad affrontare un lutto e, anche se ognuno ha la propria modalità di metabolizzare, la mia esperienza potrebbe essere utile a qualcuno di voi.

Avevo bisogno di cadere, di togliermi quella corazza da finta forte che mi ero costruita perché tentavo di essere il sostegno di tutti gli altri amici. Se potessi descrivermi con una canzone, direi che volevo essere Wonderwall, volevo essere quella persona che avrebbe salvato gli altri dal proprio dolore.

Ovviamente non poteva essere così e, quando l’ho capito, ho deciso di lasciarmi andare, di piangere, di ascoltare tutta la musica che lui amava per sentirlo accanto a me. La musica ha rivestito un ruolo molto importante nella mia fase di caduta: la Babbutzi Orkestar era diventata la colonna sonora in auto, durante le pulizie e perfino prima di andare a dormire.

Ho voluto avvicinarmi alle letture di Osho, autore che aveva tanto apprezzato nei mesi antecedenti alla sua morte, e a tutto quello che era il suo mondo fatto di musica, yoga e cultura.

Questo periodo di dolore mi ha aiutato a riflettere molto su me stessa: pochi giorni dopo la sua morte, lui si sarebbe diplomato alla scuola di yoga e avrebbe ricevuto l’abilitazione per insegnare, realizzando così un suo sogno.

E io che stavo facendo per essere felice?

In realtà nulla! Mi accontentavo del mio lavoro insoddisfacente e conducevo una vita senza troppi scossoni.

In quel momento mi sono svegliata dal dormiveglia ed ho capito che, se volevo averlo ancora vicino, dovevo essere felice e provare a fare quello che aveva fatto lui: credere nei sogni e fare di tutto per realizzarli. Ed è così che mi sono iscritta ad un Master in Comunicazione Web e ho ripreso in mano la mia passione di scrivere trasformandola in un vero e proprio lavoro.

La musica è stata il centro della caduta e della ripresa

Ebbene sì, perché se prima ascoltavo la Babbutzi Orkestar per farmi male, ricordando quante volte aveva ballato quelle canzoni con il suo modo buffo, quando mi sono svegliata ho iniziato ad ascoltarle con uno spirito diverso. Sorridevo e ricordavo attraverso le sue canzoni del cuore, che con il tempo sono diventate anche le mie.

Guardavo i video delle edizioni precedenti dello Sziget Festival immaginandomi perfettamente le sue giornate che iniziavano con un saluto al sole, ascoltavo canzoni come Forever dei Kamelot, A la mierda degli Ska-P, Nuvole Bianche di Ludovico Einaudi senza più piangere ma solo pensando a quello che io e gli altri amici avremmo potuto fare per ricordarlo senza rinchiuderci ognuno nel proprio dolore.

Proprio per questo motivo abbiamo fondato un’associazione culturale: per ricordarlo attraverso mini eventi che ripropongono le attività che lui amava, utili a raccogliere fondi per il 2 giugno, giorno in cui organizziamo una serie di concerti nel parco del paese in cui è cresciuto.

L’obiettivo? Con gli anni vorremmo trasformare l’evento in una cosa sempre più grande, fino a riproporre un mini Sziget Festival nella nostra Brianza.

La musica è vita. Imparate ad ascoltarla, a percepirne le vibrazioni ed attribuitegli un significato, dei ricordi.
Vi assicuro che funziona alla grande, sia per affrontare un lutto che per combattere con i piccoli/grandi problemi di tutti i giorni.