Chi è Maria?
Maria ha 15 anni, è una ragazza curiosa, energica e un po’ scapestrata.
Viene “trascinata” nel mio studio di psicoterapia dai suoi genitori per problemi di comportamento: ha distrutto dei banchi a scuola, ha insultato la professoressa e per questo è stata sospesa.
I genitori sono nella classica situazione di “non sapere che pesci prendere”: se la lasciano stare hanno paura che ci sia una deriva, se la affrontano lei reagisce male e poi si chiude e loro, poi, si sentono in colpa.

il mio studio di psicoterapia
L’incontro con il terapeuta attraverso la musica
Maria entra e si siede, mi guarda di traverso, non voleva venire, lei:
“non è matta”
e vuole “essere lasciata stare”.
Il suo atteggiamento mi ricorda una canzone dei Baustelle che le faccio ascoltare.
Restiamo insieme un po’, parliamo di musica, di discoteche, di ragazzi.
Mi sta simpatica, mi piace lavorare con i ragazzi “difficili”; riesco a essere empatico e ad agganciarla: dice di sì ad una serie di colloqui con me.
L’alleanza
La nostra relazione terapeutica si sviluppa: da una parte parliamo della sua vita, delle sue passioni, dei suoi studi (ama molto l’indirizzo artistico che ha scelto), dall’altra approfondiamo il suo disagio e creiamo degli strumenti per controllare i suoi impulsi: sia quelli violenti che quelli legati alle sostanze.
Nella nostra alleanza abbiamo stabilito che determinate cose non verranno comunicate ai genitori; Maria così si sente libera di parlare con me.
L’errore
Dopo 10 sedute la situazione è distesa, anche a casa si litiga di meno e la scuola procede senza problemi.
Decido di richiedere una seduta familiare: i genitori si stanno separando e Maria, spesso, è in mezzo a questa situazione, sarebbe meglio decidere insieme orari e modalità.
Maria appare molto nervosa, mi dice
“Non voglio parlare di questo argomento, dopo loro mi mettono in mezzo”
La forzo, lei parla e i genitori fanno delle ipotesi su cosa fare; la seduta termina.
La fine della terapia
Mi chiama il padre: dopo l’ultima seduta hanno avuto una grossa litigata; Maria si è chiusa nel suo silenzio e non vuole più venire agli incontri. Non vuole neanche parlare con me per telefono.
Passano le settimane e il padre mi informa che Maria non verrà più:
è avvenuto quello che in terapia si chiama drop out (interruzione del percorso da parte del paziente).
Dove ho sbagliato
Le recenti ricerche di psicoterapia (per una sintesi di questi studi approfondire qui) individuano il mio errore: spingere un paziente a parlare di un tema che non ha voglia di affrontare è una mossa rischiosa; stiamo forzando il suo cambiamento.
Maria stava pensando alla situazione genitoriale (fase della contemplazione), io l’ho spinta a fare qualcosa (che è un elemento di una fase di azione).
Come si vede nel grafico, tecniche come la confrontazione vengono poco sopportate dai clienti (il rank indica quanto sono graditi dai pazienti).

Slide di John Norcross, tratta dal Convegno “Come Personalizzare i Trattamenti” Roma 10 Luglio 2015. Proprietà dell’ASPIC.
A maggior ragione per una persona ad alta reattanza come Maria: cioè una persona che è venuta in terapia con una bassa motivazione e che ha difficoltà a controllare i propri impulsi.
Questa storia mi insegna che…
Non devo seguire i miei tempi, ma quelli del mio paziente. Devo accompagnarlo nel SUO percorso, non in quello che io penso sia giusto. Se potessi chiederei scusa a Maria per questo.
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