In Analisi Transazionale, una forma di psicoterapia, il Bambino è uno dei 3 stati dell’Io (insieme al Genitore e all’Adulto) e rappresenta la nostra parte più antica, pulsionale, emotiva e creativa; rappresenta anche quello che rimane dentro di noi della nostra infanzia quando cresciamo.
Stavo con Francesco (il mio social media manager) allo Sziget e abbiamo incontrato Dario Rossi per caso mentre camminavamo; gli abbiamo chiesto subito un’intervista.
Dario Rossi suona gli oggetti in giro per il mondo. Se lo cercate ha milioni di views su Youtube.
https://www.youtube.com/watch?v=8ZC0WHcQFEg
Mi ha dato l’impressione di un bambino che parla, emozionandosi, dei suoi giochi preferiti; al contempo il suo Adulto mi sembra molto consapevole di cosa vuole farci con questi giochi.
Qui allo Sziget siamo in una situazione in cui la spontaneità la fa da padrona. Mi sembra che anche la tua scelta artistica sia profondamente viscerale. Quali sono le motivazioni che ti hanno portato ad abbandonare la figura classica del batterista da band e intraprendere questo nuovo percorso?
Io ho sempre avuto un forte interesse per la musica elettronica e sperimentale piuttosto che per la musica rock/pop. Fare il batterista in una band mi stava un po’ stretto: regole, strutture delle canzoni, gerarchie che non mi piacevano. Spesso un batterista in una band accompagna più che creare. Per esprimermi con la musica avevo bisogno di farlo in maniera mia, libera da certi schemi.
Mi sono detto “trova il tuo modo, trova la tua strada”.
C’è stato un momento specifico in cui hai avuto questa intuizione?
In realtà la passione per il suono degli oggetti era qualcosa che mi apparteneva sin da quando ero piccolo: mi piaceva ascoltare i suoni delle cose, anche quelli prodotti dalle macchine, dai frigoriferi, dai ventilatori.
Nel mentre ascoltavo le musicassette dei miei genitori: c’era molta elettronica negli anni ‘80 e ponevo attenzione alle batterie elettroniche e ai sintetizzatori.
Non sapevo che ci fossero macchine per creare questi suoni quindi mi divertivo a riprodurli utilizzando oggetti di uso comune; a 6/7 anni già avevo una batteria composta di oggetti.
Era un mio modo di comunicare, tipico della mia infanzia.
Ma a Londra, 4 anni fa, è partito il mio esperimento di suonare in strada.
Ero lì per lavorare e migliorare il mio inglese; vedevo intanto parecchi artisti che suonavano in strada; ma non avevo uno spazio dove farlo;
mi sono detto:
“adesso il mio spazio me lo creo”.
Così l’ultimo giorno della mia permanenza prima di tornare in Italia, ho fatto una borsa di oggetti e ho suonato. Poi sono tornato in Italia.
Ho continuato a migliorare il mio set, per trovare il suono che cercavo, ma lo facevo per gioco, non ci credevo troppo.
Suonavo ogni tanto in qualche festa di paese.
Sono andato a Berlino. Ho suonato anche lì. Un ragazzo mi ha ripreso e mi ha messo su Youtube. 1 milione di views in 1/2 settimane.
La mia pagina Facebook ha cominciato a ricevere mi piace, messaggi e complimenti a profusione. Da tutto il mondo.
Io non mi sentivo pronto: trasformare un mio linguaggio infantile in qualcosa che mi potesse dare lavoro non era nei miei piani.
Ora ci sto puntando e mi sembra che rappresenti l’integrazione tra la mia infanzia e il mio presente.
C’è una forma di ossessione nella tua arte?
C’è un po’ di ossessione, sì; ma ossessione è un termine negativo;
io ho semplicemente preso una parte di me,
perché dentro di noi ci sono diversi parti, e ho scelto di usarla e comunicare con gli altri.
Ci sono momenti di down?
Qualche volta succede. Suonare davanti a tante persone, a tante persone diverse tra loro, ti espone a tanti tipi di energie diverse. Se sei una persona sensibile, percepisci tutte queste energie. Di conseguenza quando suono, posso essere carichissimo o meno.
Inoltre quando viaggi da solo, ci sono dei momenti in cui ti senti un po’ solo.
A volte le persone che ti passano davanti lo fanno solo per un attimo, storie che ti passano veloci davanti e non hai tempo per capire.
Il mio lavoro è fatto di un passaggio spesso molto veloce tra la grande condivisione e la solitudine.
Tuttavia sento di poter sostenere tutto questo perché vengo da un passato in cui sono stato isolato dagli altri: sono abituato.
Social network: come li utilizzi e cosa consigli?
Facebook va usato in maniera intelligente. È gratis e se fai un lavoro artistico è utile per promuoverti. Tuttavia è importante non farsi risucchiare.
Non cadere nel tranello “ho seguito, ho la foto con 1000 like, sono bello”.
Il successo non è la chiave della felicità; la felicità è fare quello che ti piace e poterci vivere.
Non dipende dall’approvazione degli altri. Il social potrebbe darti l’illusione che il tuo “prodotto” funzioni e dopo vai avanti solo per cercare approvazione.
Ci racconti qualche momento di contatto emotivo forte con i tuoi spettatori?
La differenza tra suonare in un locale e in strada sta nelle persone: mentre nel locale c’è una selezione, in strada questo non c’è. Nel locale c’è qualcuno/qualcosa che seleziona le persone,
in strada sono le persone che selezionano te.
Mi capita di vedere persone molto diverse che ballano: a Barcellona un signore anziano ballava con il suo bastone.
La strada rende veramente fruibile la musica a chiunque la voglia ascoltare. Una volta una ragazza mi è venuta a stringere la mano in lacrime e mi ha detto: “per favore continua a fare quello che fai”.
Sulla strada, a differenza del locale, il contatto è estremo.
Applausi, abbracci, la gente si emoziona, vuole fare le foto. Estremamente bello.
Le tue creazioni come nascono: è un aspetto cognitivo o viscerale/emotivo?
Seguo delle logiche della musica tecno: dinamiche che salgono e scendono. Poi ci improvviso dentro. Seguo un’onda. Direi che ho una linea guida ma poi quando parto, entro dentro la musica e improvviso. Faccio parte di quella dimensione sonora e seguo il flusso.
Ed è bellissimo quando mi rendo conto che la gente entra a far parte di questa dimensione.
Cosa ti aspetti dal futuro?
Sto lavorando per farmi delle basi, per poter continuare a fare questo. Ma non è detto che la forma rimarrà per forza questa.
Mi piacerebbe creare un’etichetta; fare musica integrando le sonorità che ho io. Unire le sonorità fredde con quelle calde.
I suoni nella musica elettronica sono standard. Vorrei dare una svolta a modo mio.
Magari altre persone la pensano come me.
Fare una tecno più sciamanica, più tribale, più concreta.