Ho incontrato Tommaso durante Rock in Cura.
Dopo il live abbiamo fatto una bella chiacchierata. Grazie agli organizzatori dell’evento e a Tommaso che si è aperto molto ed è stato molto diretto e sincero.
Grazie anche a Francesco per le foto.
Malinconia: sintetizzatori, riferimenti e testi vanno in questa direzione. Che rapporto hai con questo sentimento?
È una forma di ansia che accompagna la mia vita da sempre; è un’ansia felice. Nel tendere verso qualcosa che poi non raggiungi mai, ti rimane questo senso d’insoddisfazione in cui poi ti crogioli; inoltre il romano è tendenzialmente malinconico, rimpiange il passato. Questo non vuol dire che vivi nel passato, ma le corse dei ragazzini in spiaggia, le biciclette, le atmosfere di un tempo…crescendo ti manca quella spensieratezza.
La malinconia è una mancanza che ti riempie.
È paradossale. Ma è anche il senso profondo dell’arte. Il motore dell’arte.
La pura gioia e la pura felicità ci sono ma non portano a quei risultati musicali che a me piace ottenere. Mi piace lasciare il pubblico con un filo di amarezza.
Come quei film di Verdone con un epilogo amaro.
Le relazioni di cui parli oscillano tra mancanza e sessualità. Nei testi ci metti il tuo modo di relazionarti?
Sì, fondamentalmente nelle canzoni esprimo il modo in cui mi relaziono.
Da una parte
diventa una goduria perdere nelle relazioni amorose:
è arrivata finalmente una donna che mi fa perdere la testa, e tu ci vai sotto, e non capisci perché, il non spiegartelo ti fa perdere la testa… anche in questo c’è malinconia, essere felici nel perdere qualcuno.
Dall’altra, in una canzone come promiscuità, c’è la descrizione di quelle serate che sembrano molto goderecce, c’è scambio di sguardi, di intimità, di vino, ma alla fine come si conclude tutto? È “una questione di sigarette e stiamo a parlare fino alle 7”, senza aver fatto niente.
Quando l’effetto dell’alcol si abbassa, il vizio sparisce, cominci a essere più profondo e ti sfugge anche lei.
Anche in promiscuità quindi succede quello che ti dicevo: è una canzone molto viziosa con un finale sospeso.
Quando l’ho scritta, mi piaceva poi mi sono chiesto come avrebbe reagito la gente; penso che alle persone sia piaciuto l’inserimento dell’aspetto romantico,
bisogna sempre giocare con la sessualità, non essere troppo diretti,
la poesia ti aiuta a trovare la formula giusta; anche i sintetizzatori aiutano a creare l’atmosfera: parlare di sensualità in maniera poetica.
Hai visto il mio video in cui uso per una canzone di Paradiso per aiutare la tua crescita personale? Eccolo:
Ci sono, nella tua infanzia, momenti musicali che ti hanno segnato?
Quando andavo a letto mia madre mi cantava “Sara” di Venditti come una ninnananna.
Quando avevo 6/7 anni sempre mamma mi fece un poster gigante con immagini e testi di John Lennon.
Gli Oasis a 14 anni: un amico mi portò la cassetta di “What’s the story? Morning glory” e cominciai a fare musica per quel disco lì.
Lucio Dalla è un caso a parte, è un artista che ho scoperto recentemente e da solo. Così come il cantautorato italiano.
Ora sono in fissa, e si sentirà nel prossimo album, con Vasco Rossi.
Stavamo registrando il secondo disco, andavamo a dormire alle 6 di mattina; alle 7, vicino a dove dormivamo, attaccava a lavorare un muratore che metteva Vasco a tutto volume. Il Vasco del disco “Bollicine”.
Mi svegliavo e mi domandavo: perché mi piace questa roba?
E poi rota.
Vasco Rossi è molto odiato nel mondo alternative…
Sì, infatti sto facendo qualcosa di molto rischioso con questo nuovo album.
Tutti i miei colleghi dell’alternative amano Vasco, da Dente a Brunori a Appino, allo Stato Sociale, a Luca dei Management, ne parliamo sempre.
Purtroppo per un certo pubblico alternative vanno bene solo i Joy Division.
Ma noi prendiamo i nostri rischi.
Quali sono le emozioni che attivi nelle persone?
Non lo so. Non l’ho mai chiesto. Vedo le persone che cantano ma non so cosa provano. Sicuramente sono piene di qualcosa.
I miei amici storici, quelli con cui faccio da una vita il Fantacalcio, mi dicono che gli torna su un sacco di roba;
è come se scavassi dentro di loro e ritrovassi le cose di un tempo;
come se raccogliessi un po’ della loro vita dalle elementari all’università. Cose che abbiamo vissuto tutti.
Cosa ti deprime?
Come musicista quasi niente; come persona, me stesso… no, non me stesso…
Mi deprimo per le mie paure.
Per questo sono poi andato dallo strizzacervelli.
Com’è andata la tua esperienza di psicoterapia?
Benissimo. Sono andato da un terapeuta consigliato da due persone carissime.
Mi ha aiutato ad accettare me stesso.
Questo è la vera grande cosa. Da lì fai il salto.
Tanta autoironia, e capire che anche le sensazioni negative fanno parte di te stesso;
a volte sul palco io canto ma dentro non sto bene. Penso anche di morire lì per lì.
Ma questo oramai lo accetto.
Il tuo modo di scrivere è cambiato dopo la terapia?
No, è cambiato prima.
Ho capito che non potevo raccontare cose inutili.
Non mie, non emotive. Il disco “Vecchio” contiene immagini che non mi appartengono, questo è sbagliato; oppure mi appartenevano ma dette in modo sbagliato.
Mi ero fissato sul vintage, sulla ricerca di certe chitarre e mi ero scostato dal vero senso: il raccontare. Da oggi andrò solo in questa direzione. Essere completamente sinceri.
Altrimenti non arrivi alla gente.
Quindi la psicoterapia non è servita alla tua arte?
Mi è servita, come ti dicevo, ad accettare me stesso, quando fai questa manovra diventi più sicuro di te stesso, più convinto di quello che proponi.
Intervista a cura di Romeo Lippi