Ho intervistato Paolo Simoni, un giovane cantautore emiliano che ha pensato di dirmi la sua rispetto a quanto la musica gli abbia fatto bene e quanto è importante il tema del cambiamento e della rinascita, tema centrale nel mondo della psicologia.
Ho ascoltato il tuo nuovo album cd. Sembra essere introspettivo quanto speranzoso: un auspicio di spinta e rinascita per quelli della tua età . Qual è il tuo rapporto con la rinascita intesa come cambiamento verso il positivo?
Quando c’è voglia di cambiamento vuol dire che c’è vita che pulsa inevitabilmente. Io sono partito da quello che avevo intorno, un’ idea di paese bloccato dal punto di vista culturale che ha poca voglia di cambiamento.
Volevo raccontare in questo disco la condizione dei giovani come generazione che ha voglia di cambiare, quindi la positività è il punto di partenza: vedere una condizione di non appoggiarsi ne addormentarsi per risvegliare il sogno comune e collettivo. Far cambiare e ripartire da noi stessi.
È possibile che il cambiamento avvenga grazie alla musica?
Certo! io riconosco nella musicaquesto potenziale. In passato la musica ha sempre smosso le coscienza contribuendo a cambiare e a cambiarsi.
Oggi è l’anniversario di Imagine per esempio, una canzone che non ha fermato certo le guerre nel mondo ma ha creato delle immagini collettive, plasmando un ideale profondo. Proprio Guccini ad esempio diceva “Con le canzoni non si possono far rivoluzioni, ma si può far poesia”.
Una canzone può cambiare, può trasformare e può unire. Credo che una canzone abbia la capacità di togliere tutte le paure e le ansie e di unirle sotto uno stesso problema e quindi una stessa soluzione: non si cambia il mondo con le canzoni ma si può far tanto.
Oggi la musica unisce dal punto di vista commerciale e non ideale, e questo è sbagliato, e noi giovani non ci dobbiamo far fottere da questo meccanismo deleterio, che non unisce ma divide.
La musica ha prodotto un cambiamento nel tuo percorso di vita? Nelle tue scelte?
Personalmente la musica mi ha sempre cambiato la vita e condizionato le mie scelte. Da quando ero piccolo a 4-5 anni io sapevo già suonare, ci sono certi doni che vengono dati prima che noi veniamo al mondo.
La musica è stata sempre presente nella mia vita e non potrei vedere la mia esistenza senza la musica. A me interessa proprio la pulsazione che c’è in una canzone e in tutto ciò che è arte.
La musica mi ha aiutato tantissimo e mi ha dato il piacere di essere musicista, e io le sono grato. Io suono il sax, il pianoforte, la chitarra e poi ho integrato il tutto nella canzone che mi ha guidato in quello che avevo da dire.
Ci sono dei momenti o dei ricordi della tua vita che sono legati alla tua adolescenza, ad una canzone o ad una esperienza musicale?
La musica mi ha guidato durante l’adolescenza perché mentre i miei amici uscivano a fare un sacco di cose io me ne stavo in casa spesso a suonare o mi ritrovavo con altri musicisti: essere musicista è uno stile di vita.
Di immagini legate alla musica c’è ne sono tantissime. Da piccolino, frequentavo la parrocchia a Porto Garibaldi e si facevano le recite musicali e teatrali. Io avevo sempre tantissime idee per quelle, quindi mi piaceva aggregare le persone con la musica.
A cosa serve una canzone, secondo te, nel 2016?
Noi veniamo al mondo non per produrre del PIL o per portare a casa lo stipendio e basta ma per creare e imparare delle cose. Se non è l’arte o la musica a far questo, chi lo può fare ?
Io e te adesso siamo qui perché dobbiamo creare una condizione per l’anima, perché è quella che ci portiamo via. Il materialismo cronico per tutto ciò che si tocca, è invece la morte totale: le anime soffrono e si rincoglioniscono e poi è finita
Io voglio tenere accesa la fiamma e voglio trovare persone che come me vogliono condividere questo modo di vivere. Io facevo il cuoco fino a qualche anno fa, vivevo più sereno e avevo uno stipendio che mi faceva vivere molto più sereno di adesso con tredicesima e quattordicesima, ma non ero felice. Poi ho deciso di impegnarmi nella musica.
Lo scopo del progetto “Lo psicologo del rock” è quello di stare bene facendo qualcosa che aiuti anche gli altri in maniera sana ed etica, proprio come il cerchi di fare tu con la tua musica.
Esatto, c’è bisogno di gente come te che scrive di queste cose, come qualcuno che come me fa questi dischi perché i primi segnali di cambiamento in questo momento li devono mandare gli artisti e chi fa un lavoro come il tuo che non si ferma al materiale, ma aiuta, scrive, comunica.
Un’ attività del nostro progetto è “cantautori terapeuti dell’anima”. Tu sei un giovane cantautore italiano: credi che un cantautore possa essere un terapeuta dell’anima? E se si in che modo?
In generale credo che un cantautore possa sempre essere un terapeuta dell’anima. Le sue canzoni hanno sempre un aspetto riflessivo, rincuorante, parlano dirette e possono far ritrovare qualcuno che si sente smarrito che cerca una risposta, una condivisione di un dubbio. Un cantautore, a differenza dell’autore normale, deve partire dal punto che non scrive solo per se, ma quello che scrive lo deve far arrivare al altro.
Ci sono delle canzoni che per te sono state terapeutiche? Quali delle tue, invece, sono state terapeutiche per qualcun altro?
Per me sono state terapeutiche, diciamo così, alcune canzoni di Guccini con le quali mi rincuoravo perché parlavano di cose che non avevo mai vissuto ma in realtà le sentivo comunque mie.
Oppure ricordo ascoltai un verso di Dalla che diceva “gli occhi me li ha portati via una donna grassa a forza di guardarla” e da li ho pensato “pensa dalla parole come puoi descrivere una roba del genere”. Poi c’è stata Canzone delle domande consuete.
Ricordo anche La storia siamo noi di De Gregori, C’è Tempo di Fossati. Nel mio piccolo Io non mi privo come brano ha avuto un effetto rincuorante su altri, molta gente mi ha scritto pubblicamente o privatamente e mi ringraziano per aver scritto questa canzone, dicono “è esattamente quello che sento.
Quale è il messaggio di riscatto e di sfida vinta che Paolo Simoni vuole dare ai giovani di oggi?
Reagire, di avere Una reazione come canto in un brano, di non accontentarsi e non credere a quello che spesso il mondo ci mette davanti. Un po’ come funzione in terapia, voi volete aiutate le persone in studio da voi a reagire.
Mi viene in mente il principio della rana bollita di Chomsky: una rana se la metti dentro una pentola con acqua bollente la rana si cuoce e muore subito, se invece metti la rana a bagno nell’acqua tiepidina e poi pian pianino gli metti l’acqua sempre più calda, la rana si abitua alla temperatura dell’acqua fino a quando gradualmente si cuoce senza neanche accorgersene.
Ecco noi ci stiamo abituando a tutto, invece non dobbiamo abituarci più a niente. Non serve fare le rivoluzioni sulla tastiera bisogna dare dei segnali forti affinché noi rane non ci abituiamo alla temperatura dell’acqua.